domenica 26 agosto 2018

La sacralità della montagna


Non solo lontano dalla folla ma lontano da se stesso nel chiasso delle voci, nel  frastuono del traffico, del vocio delle ‘mosche al mercato’.
Solo, spogliato dalle sovrastrutture del sociale sottostante, a tu per tu con la parte più nascosta dell’IO, l’IO empirico e l’IO culturale, con le verità e le paure ed angosce segrete, che si autosigillano nelle pieghe più nascoste dell’anima. 
Là dove ci ci pare di toccare dal vivo un’ipotetica manifestazione divina nella bellezza della natura, poco contaminata da mani umane, da lei immobile (la montagna), sempre eterna pur nelle metamorfosi di aspetto, sembra guardare a noi, sotto di lei, che a differenza sua, viviamo ma invecchiando ed addolorandoci delle traversie della vita…
Solo la verità, quello che senti e che sei veramente, senza maschere e sotterfugi. 
Lì, fra le rocce imponenti ed immobili, puoi veramente parlare con te stesso, in un mos socratico.
Sempre più inerpicato verso l’alto, a toccare il cielo delle origini, del mistero, ti sembra di essere quasi a contatto esplicativo con il mistero della creazione, nello sgomento del pensiero dell’infinito che irrompe nel finito, il paradosso e scandalo sottolineato da Kierkegaard.
Là dove l’Essere ed il Nulla si liberano dal dogma parmenideo ed eraclito e vivono, tuttavia, nell’essere ora qui del singolo, nelle spire angoscianti della sua storicità, fluttuante fra il bilanciere del tempo meccanico e il patema del tempo della vita fattuale.
Ma questa non è la montagna di tutti i giorni, quella delle passeggiate sportive e disintossicanti, impegnative, o quelle dei bivacchi nei rifugi o, peggio ancora, e quasi me ne vergogno, di quella estetica e rilassante, ad esempi, fatta da me giorni orsono alla base (prima tappa) delle Alpi Devero. No, penso a quella di Max Firsch, che a pochi giorni dalla cerimonia del suo matrimonio decide di abbandonare il ‘romor del monno’ per iniziare la scalata dell’Eiger, la parete assassina, abbracciandone la fredda roccia, non più masso bruto ed insensibile ma diaframma in cui appare e si nasconde uno spiraglio dell’’ESSERE’, qual che sia esso, Dio o Nulla.
Una mia nota recensiva sul libro di Max Frisch subito dopo il presente scritto.

Il mare ha i suoi abissi di profondità, dalle sue acque si dice sia nato e si sia sviluppato l'uomo (Demaillet e l'origine marina dell'uomo), sui suoi fondali più bui conserva relitti, cose, scheletri, forme di vita strana, misteriosa, orrida o meravigliosa, dalle sue acque emerge Venere, la bellezza eterna fatta donna, sulla immensità della sua superficie si riflettono albe e tramonti indescrivibili, un fascino intrigante che accende la fantasia, fa correre il pensiero, muove la penna a favole e nascita di personaggi di eroi e pirati, avventurieri e condottieri che, dalla memoria giovanile, ci accompagnano nel ricordo per tutta la vita.
Ma... ma...la montagna...
La suprema vertiginosa altezza della montagna che tocca il cielo con le sue punte estreme. 
È li, a contatto con il mistero della vita. 
Ha sempre esercitato un fascino misterioso, sia nell'ansia  della ricerca del divino sia come suprema sfida alle limitazioni fisiche dell'uomo. 
Essa racchiude il tenebroso fascino attrattivo della morte e le sue coste ed abissi ne raccolgono anche la morte fisica di quelli che ha ghermito. La morte 'bella', che al suo apparire avvinghia anche i più cinici e scettici e li risucchia nel vortice vertiginoso del pensiero, che si apre e si smarrisce di fronte all'infinito mistero dell'esistenza. 
È la materializzazione del concetto di Kierkegaard, 'L'infinito che irrompe nel finito'. Qualche anno fa le cronache e la TV riportarono di un corpo che era stato restituito dopo tanti,  tantissimi anni dalla montagna. 
Si era mantenuto giovane, intatto come era vigoroso, bello,  allora. 
Lui si sarebbe dovuto sposare  a giorni ed invece aveva trovato  la morte in un'escursione sulle pendici della montagna. 
Giù in paese la sua promessa sposa era tutt'ora in vita, ottantenne, ed aspettava silente a valle, muta, stordita, preda inebetita dalla sovrumana emozione, vergognosa, immotivatamente, nel suo intimo della ragnatele di rughe sul suo viso e dalla vecchiaia del suo corpo, così come l'avrebbe vista LUI, una volta che l'avessero riportato a valle.
 La visione di questi due corpi, quasi in differita, ma presenti invece nella realtà l'un l'altro; lo sposo mancato, vecchissimo, che aveva conservato intatta nei decenni la sua giovinezza, e la vecchia, la donna, la bella sposa di un tempo, con tutte le rughe degli anni, vedova del suo sposo, che lo vedeva ripresentarsi giovane davanti a sè. 
La  ragione vacilla. 
Come fa il pensiero a non smarrirsi di fronte a questa enorme,  lancinante,  lacerazione  della natura, il cui ordine, così come lo conosciamo noi, risulta sconvolto e devastato ?
È il concetto del sublime di Kant, l'immane del bello, ciò che ad un tempo atterrisce ed annichilisce, il mostruoso (nell'accezione del termine 'fenomeno fuori dall'ordinario' 
Ma il sublime è un prodotto delle rocce (hanno forse esse un'anima) o è soffio dell'animo umano ?):  ...la vera sublimità non dev' essere cercata se non nell’animo di colui che giudica, e non nell’oggetto naturale.”
“….come si potrebbero chiamare sublimi masse montuose informi, poste l’una sull’altra in un selvaggio disordine, con le loro piramidi di ghiaccio, ed altre cose di questo genere?…”, (Kant).
 Pensiero notevole che pone l'animo umano ai vertici dell'esistenza, in perfetto comunione con quanto afferma Diderot (come non essere colpti da queste analogie del pensiero dei grandi del passato ?) alla voce 'Encyclopédie' :
"Una considerazione soprattutto non bisogna perdere di vista ed é che se si bandisce l'uomo …(omissis) dalla superficie della terra, lo spettacolo patetico e sublime della natura non é più che una scena triste e muta.
L'universo tace, il silenzio e la notte se ne impadroniscono.
Tutto si muta in una vasta solitudine dove i fenomeni inosservati trascorrono muti e sordi .
E' la presenza dell'uomo che rende interessante l'esistenza degli esseri…".
Il mare, la montagna, la vita, la morte...,


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